Uscito dalla leggenda, appare con sempre maggiore frequenza
Uno degli archetipi della mitologia e della letteratura fantastica è il "mostro marino", descritto sotto forma di enorme serpente, di smisurato cetaceo, di piovra immane o di calamaro gigante.
Quest'ultimo, tuttavia, non è un mito: è un cefalopode conosciuto dalla scienza, esistente in svariate sottospecie, molte meno rare di quanto per lungo tempo si sia creduto
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Episodi del passato
Inevitabilmente, le descrizioni di polipi, piovre, "kraken" e calamari si mescolano, in quanto questo animali marini sono molto simili: tutti fanno parte dei cefalopodi, ma i polipi sono octipodiformi e sono caratterizzati da otto tentacoli; i calamari, invece, hanno forma più affusolata e due ulteriori tentacoli, più lunghi, oltre ad avere una sorta di conchiglia interna (il famoso "osso di seppia").
Le segnalazioni e i reperti, comunque, sono diverse centinaia e sono in continuo aumento.
Tra i primi a parlarcene è Plinio il Vecchio, nella sua "Historia Naturalis", descrivendo un episodio avvenuto presso Gibilterra, nel quale si parla di un polipo (che però descrive con dieci tentacoli, due dei quali più lunghi) della lunghezza totale di 30 piedi e del peso di 700 libbre, evidentemente un calamaro gigante.
Nel 17° Secolo in Inghilterra fu esibita la "bestia di Dingle-i-Cosh", la cui descrizione fa pensare ad un calamaro gigante e la stessa cosa si può dire dell'animale arenatosi a Thingöre, in Islanda, nel 1639 e per quello "spiaggiato" a Scheveningen, in Olanda, nel 1661. Nel 1801 il naturalista francese Pierre Denys de Monfort, pubblicando un volume dedicato ai molluschi, passò in rassegna tutto quanto fino a quel momento si era detto su questi mostri marini. Denys de Monfort intervistò anche dei balenieri di Dunquerque, uno dei quali raccontò che un capodoglio, arpionato ed issato a bordo, vomitò un segmento di tentacolo lungo 10,60 m e con un diametro di 15 cm.
Un episodio pressoché identico si era verificato nel 1775, quando un capodoglio aveva sputato un tentacolo di 8,20 metri. Un caso analogo, o una diversa trascrizione dello stesso, ci descrive questo tentacolo di colore rossastro e, in effetti, così ci sono apparsi alcuni reperti moderni, ma non mancano i casi di calamari completamente bianchi.
Nel 1857 il danese Steenstrup diede una più accurata descrizione scientifica di questo cefalopode, classificato come Architeutis, ma lo zoologo americano A. E. Verrill, tra il 1874 ed il 1882, basandosi su un numero considerevole di campioni, ne tentò una classificazione più approfondita. Un vero studio del calamaro gigante, però, ha avuto inizio solo in questi ultimi anni, con la disponibilità di grandi banche-dati informatiche, ed i ricercatori si sono resi conto che le segnalazioni riguardavano, in realtà, una grande varietà di molluschi: Mesonychoteutis, Moroteuthis, Dosidicus, Taningia, Loligo, Plectoteuthis, Megaloteuthis, Megatheutis, Dubioteuthis, Dinoteuthis, Mouchezis, Steenstrupia ecc., senza la possibilità di stabilire quali effettivamente fossero specie differenti in quanto la stragrande maggioranza dei reperti è costituita da esemplari incompleti o parti di essi.
In ogni caso, nel 19° Secolo questa creatura fantastica, al centro di decine di narrazioni romanzesche uscì dalla leggenda per entrare a far parte di studi scientifici che, peraltro, confermarono le prime annotazioni di Plinio il Vecchio nella "Historia Naturalis".
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